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Le origini della mente

2021-04-20 09:09

Giulio Di Meo

Crescita personale, emozioni, neonatalità, perianlìtà,

Le origini della mente

E’ il neonato una persona umana dotata di capacità mentali? O piuttosto una sorta di animaletto, che non pensa

Cosa significa trascorrere nove mesi all’interno del corpo umano? Quali sensazioni ed emozioni vi si percepiscono? Quali esperienze vi si vivono? Vasti settori della nostra società hanno finora volutamente ignorato tali quesiti oppure hanno cercato di sminuire l’importanza definendoli puerili. Il medico, artista e filosofo Carl Gustav Carus (1789-1869) situava intuitivamente le radici della nostra vita psichica nell’incoscio dell’esistenza prenatale.

Nei secoli passati, nella cultura occidentale, greco-romana e poi cristiana, si è a lungo discusso se il neonato avesse un’anima. L’opinione prevalente, soprattutto nel pensiero cristiano del basso medioevo, è che l’essere umano nascesse (neonato) con un anima, datagli da Dio durante la gestazione. Il neonato, si è ben presto convenuto nella civiltà occidentale, è dunque un essere umano a pieno titolo. E’ il neonato una persona umana dotata di capacità mentali? O piuttosto una sorta di animaletto, che non pensa, che non sente, forse neanche il dolore, che non ragiona, che, insomma, non ha una mente; e che solo a seguito dello sviluppo del cervello, e del linguaggio, la acquisirà. Tale è la concezione del neonato fino alla prima metà del Novecento.

Soltanto negli ultimi cinquant’anni ci si è accorti che il neonato ha capacità che a buon diritto possiamo chiamare mentali: ha alla nascita alcune “competenze”, sulle quali si svilupperanno poi funzioni più complesse. La mente non comincia con l’acquisizione del linguaggio, come si è creduto fino a qualche decennio fa. La scoperta che il neonato ha una struttura funzionale operativa che appartiene all’ordine del mentale, ha fatto sorgere, in queste ultime decadi, lo studio sulle sue origini. Le “competenze” riscontrate alla nascita, sono state acquisite, progressivamente, durante la gestazione, nella relazione della gestante con il suo bimbo, che ha modulato gli apprendimenti fetali. Il feto impara in relazione a coma la gestante ( e il suo entourage e il suo stile di vita) modula ciò che i nascenti organi sensoriali del feto possono recepire: è la modulazione materna che conferisce loro quella organizzazione che li costituisce come funzioni mentali ( in primis percettive) passibili di essere memorizzate. La comunicazione gestante-feto è pertanto la matrice degli apprendimenti fetali e del costruirsi delle prime elementarissime funzioni mentali del feto. E’ questa l’attuale frontiera della psicologia prenatale.

La mente dell’essere umano comincia dunque in epoca fetale: si forma in grembo, gradualmente, in relazione alla comunicazione con la madre. La modulazione della voce, che avviene in funzione dello stato emozionale della madre, consapevole o no di sentire emozioni, contiene significati. Questi potranno essere recepiti dal bimbo nella misura in cui si sia stabilito un codice comune e la madre sarà in grado di “capire” il significato di una risposta del bimbo e di rispondervi a propria volta in modo congruo. Solo così si può stabilire un dialogo. Dialogo non verbale in senso proprio, ma di suoni, veicolati dalle parole, che hanno assunto significati. Come avviene per dialoghi mediati da altri veicoli, tattili, pressori, propriocettivi, motori. Nella misura in cui si tratta di un vero dialogo, congruo e sintonico, e non di una velleitaria e forzata immissione di presunti messaggi, il bimbo impara una regolazione emozionale, che sarà la base di ogni successivo apprendimento. Come neonato e nei primi mesi di vita, potrà essere in grado di recepire i messaggi che gli verranno via via trasmessi nelle sue relazioni ed elaborarli per un buon sviluppo della mente nascente, ovvero del suo apparato neuro-mentale. Una “buona madre” riesce a stabilire un dialogo senza volerlo intenzionalmente: anzi, la “buona intenzione” di solito impedisce che si stabilisca un codice di comunicazione reciproca e pertanto quella regolazione che permetterà apprendimenti positivi, costruttivi di un buon sviluppo. Non sono le parole in sé, o i suoni in sé, che vengono appresi come tali, né essi come tali servono a far imparare, ma i messaggi inconsci che sempre vi sono contenuti, siano essi emessi dalla madre, siano in quanto tali decodificati dal bimbo. Comunque sia la recezione, essi possono influenzare lo sviluppo anche in senso negativo, all’insaputa della madre. Gli studi degli ultimo dieci anni, con perfezionate tecnologie, hanno dimostrato che la comunicazione (non verbale anche se si serve delle parole, e non solo sonora), entro la quale si trova il bimbo, struttura le sue reti neurali. Dopo i risultati sul neonato, della fine degli anni ’90, si sta ora indagando sul feto (Schore, 2003a,b). Il concetto di maturazione cerebrale (o anche generalmente neurale) è oggi profondamente cambiato: non si tratta solo di una maturazione prefissata dal genoma, bensì dall’esperienza del singolo. Il genoma provvede alla macro-morfologia del cervello, ma la micro-morfologia e la fisiologia (capacita funzionali) dipendono dall’esperienza: e dal tipo di esperienza vissuta (Imbasciati, Cena,2010). L’esperienza che struttura le reti neurali del bimbo non va intesa come un imprimersi passivo nella sua mente/cervello, di ciò che accade intorno a lui, bensì si intende ciò che nel suo apparato neuro-mentale viene a strutturarsi (e ristrutturarsi) a seguito del particolare scambio affettivo-emozionale (non verbale) che avviene. Sono in atto studi di biologia molecolare che mostrano la complessa biochimica che intercorre lungo il percorso che dall’afferenza sensoriale porta alla codificazione che ne fa il cervello (comprensione del messaggio recepito) e come quivi, tramite il passaggio DNA/RNA,genoma/transcriptoma, si generino le proteine che costruiscono nuove sinapsi, nuove reti neurali e quindi nuove funzionalità mentali (Cena, Imbasciati, 2013). Il concetto di esperienza, del feto e del neonato, si riferisce dunque, non a un processo di automatico assemblamento di tracce di afferenze sensoriali uguale per tutti (non è cioè puro esercizio funzionale), bensì all’effetto del dialogo (ovviamente non verbale) che quel bimbo intrattiene con quellamadre. Ciò che viene a strutturarsi dipende da come viene emesso il messaggio, da come la struttura neuro-mentale del bimbo lo decodifica e quindi lo elabora e da come questa risponde al messaggio della madre che lo decodificherà in funzione delle sue successive emissioni di altri messaggi. Si tratta di un vero dialogo, ove entrambi i protagonisti sono attivi emissori e attivi riceventi. Da alcune decadi è assodato che ogni formazione di strutture neurali condiziona la successiva “esperienza” e quindi le successive strutturazioni e ristrutturazioni: e via via le ulteriori, con effetto a cascata. Pertanto le prime strutture neuro-mentali condizionano il modo con cui sarà elaborata, e strutturata, ogni successiva esperienza. E’ questa la spiegazione (Imbasciati, 2013) di quella fondamentale scoperta che i primi mesi di vita, del bimbo-feto e del bimbo-neonato, sono decisivi per come l’ incipiente mente elaborerà in ogni successiva esperienza, strutturando in tal modo la formazione dell’apparato neuro-mentale di quel singoloindividuo.